lunedì 16 dicembre 2013
giovedì 7 novembre 2013
domenica 29 settembre 2013
Vinicio Capossela - Tefteri
Tefteri: debiti e crediti per imparare il mestiere di campare.
Tefteri è il nome del classico libricino dei conti greci.
Vinicio Capossela, vestito da passante, attraversa cittadine della Grecia descrivendo mano mano ogni piccola o grande pecca della nazione. Affianca ogni commento ad una particolare canzone del posto. Viene citata più volte una vecchia sinfonia: il Rebetiko. Esso incarna la grecità urbana e cantandolo si può spurgare il dolore causato dalla crisi. I problemi della Grecia vengono descritti da un giovane lavoratore di nome Iannis. Ci racconta il ragazzo di come in Grecia la popolazione prima stava bene e poi d'improvviso i soldi sono iniziati a finire in un "buco nero".Servirebbe, secondo gli abitanti, un ritorno alle origini; eliminare il consumismo ed utilizzare il denaro solo per sopravvivere e non per beni effimeri. La crisi c'era da anni ma ognuno mangiava con cucchiai d'oro. Era nelle scuole, nell'educazione, negli ospedali e nel governare (sono noti in tutto il mondo gli scontri tra i due partiti principali della Grecia) ma principalmente lo scrittore vuole farci capire come le industrie interne stanno morendo (o sono già morte) e come la gente stia tornando a coltivare i campi.
Sapete come si dice lavoro in greco? Dulia = SCHIAVITÙ .
Vinicio fa un paragone tra la Grecia e l'Italia, come se quest'ultima fosse prossima a subire lo stesso deterioramento della Grecia. La Grecia sta cadendo soprattutto perché i politici, ma in parte anche una grande fetta della popolazione, rubano. Non ci sembra di rivedere la situazione italiana?
Una delle città ad aver subito di più la crisi, sia politica sia morale, è Atene. In una zona in particolare é vietata l'entrata alla polizia perché qualche tempo fa è stato ucciso un ragazzo, è diventato il quartiere più anarchico del paese. La Grecia è una nazione che, come l'Italia, conta un gran numero di immigrati tanto che l'amore e l'attaccamento alla patria è svanito! Palazzi, cattedrali, piazze e chiese.. Tutto si sta distruggendo o è stato distrutto dagli stessi abitanti. A nessuno piace più vivere in Grecia e si preferisce emigrare.
Vogliamo soffermarci su una frase un po' brusca ma importante e diretta del testo:" il problema è che la Merkel ha dimenticato che cos'è il sesso, e così fotte il popolo greco e il popolo europeo".
È forse colpa dell'Europa ed in particolare della Germania la situazione della Grecia? Non ci dovremmo aiutare a vicenda? Questo paese, culla della civiltà, sta diventando un paese di paura, uno stato di mafiosi mentre la popolazione si dispera. La gente preferisce morire di mano propria piuttosto che di fame o di freddo per la mancanza di un tetto.
Ma perché viene lasciata sprofondare così come un pezzo inutile del mondo? In fondo è proprio qui che è nata la civiltà e dovrebbe essere il primo stato ad essere distrutto? Bisogna smettere di evitare il dolore, di tenerlo da parte dalla vita:
"Camminarci in mezzo , invece, attraversarlo" (cit)
In questo momento l'unico sollievo della Grecia è la musica: libera.. Che serve a spurgare il nero. Ed è comunista perché davanti al dolore siamo tutti uguali!
Possibili domande:
• Perché lo scrittore ha così a cuore la musica greca tanto da collegarla alla crisi economica? Che rapporto c'è?
• La metafora con la Germania è veramente toccante. Che ruolo attribuisce a questo paese nel progressivo deterioramento della Grecia ?
• In un passo del testo l'autore fa un appunto, o meglio critica, alle banche. Perché anche in Italia si da così tanta colpa alle banche quando forse l'unica colpa è dello stato e dei truffatori ?
• Atene: città più colpita. Perché si sofferma proprio su essa? È l'unica città ad essersi chiusa in se stessa martoriata dalla crisi?
Federica Scannapieco, Veronica Sacchi, Giorgia Gambuzza
mercoledì 18 settembre 2013
Dallo Statuto Albertino alla Costituzione Italiana
Lo Statuto Albertino è la costituzione emanata da Carlo Alberto nel 1848 che sostituiva la monarchia assoluta dello stato piemontese con quella costituzionale. Successivamente con l'Unità d'Italia venne esteso a tutta la penisola, rimanendo in vigore fino al 1948.
Era composto da 88 articoli, di cui 22 definivano soltanto i compiti del re.
La rappresentanza era bicamerale, in quanto composta dal Senato, i cui senatori erano nominati a vita dal sovrano, e dalla Camera, i cui Depuati erano eletti secondo una legge elettorale non specificata nello statuto (ma che era quella che si basava sulla tassa di 40 Lire).
Il potere esecutivo era affidato al re, il quale deteneva, insieme al Parlamento, anche il potere legislativo, mentre quello giudiziaro era in mano ai magistrati, anch'essi nominati dal monarca.
Venivano descritti in breve invece i diritti fondamentali dei cittadini e l'inviolabilità della proprieta individuale.
I diritti principali erano: libertà di pensiero, di parola e uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
La religione cattolica venne proclamata religione di Stato.
Nel 1925, con il fascismo, lo statuto venne alterato, tanto che nel 1939 la Camera dei Deputati venne sostituita con la Camera dei Fasci.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre, nel 1946, e precisamente il 2 Giugno venne indetto un referendum con il quale l'Italia divenne una Repubblica. L'Assemblea Costituente diede allora il compito a 75 deputati di redigere la nuova Costituzione.
Ora gli organi costituzionali sono:
-Il Parlamento
-Il Presidente della Repubblica
-Il Governo
-La Magistratura
-La Corte Costituzionale
La Costituzione, ancora in vigore, è:
Compromessa: frutto di un compromesso tra i partiti del comitato Nazionale di Liberazione e quindi garantisce un certo equilibrio
Votata: viene letta e approvata da un'Assemblea votata a sua volta dal popolo
Rigida: può essere modificata solo con una procedura specifica
Laica:tutte le religioni possono essere professate all'interno dello Stato
Sociale: lo Stato interviene direttamente per garantire l'uguaglianza fra i cittadini
Liberale: i principi di libertà sono riconosciuti e garantiti
Lunga: si occupa dei diritti dei cittadini e non solo degli organi del potere
Quest'ultimo punto, insieme al voto concesso a tutti i maggiorenni, la nostra Costituzione lo ha ereditato dalla Costituzione della Repubblica Romana, redatta dal triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi.
Era composto da 88 articoli, di cui 22 definivano soltanto i compiti del re.
La rappresentanza era bicamerale, in quanto composta dal Senato, i cui senatori erano nominati a vita dal sovrano, e dalla Camera, i cui Depuati erano eletti secondo una legge elettorale non specificata nello statuto (ma che era quella che si basava sulla tassa di 40 Lire).
Il potere esecutivo era affidato al re, il quale deteneva, insieme al Parlamento, anche il potere legislativo, mentre quello giudiziaro era in mano ai magistrati, anch'essi nominati dal monarca.
Venivano descritti in breve invece i diritti fondamentali dei cittadini e l'inviolabilità della proprieta individuale.
I diritti principali erano: libertà di pensiero, di parola e uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
La religione cattolica venne proclamata religione di Stato.
Nel 1925, con il fascismo, lo statuto venne alterato, tanto che nel 1939 la Camera dei Deputati venne sostituita con la Camera dei Fasci.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre, nel 1946, e precisamente il 2 Giugno venne indetto un referendum con il quale l'Italia divenne una Repubblica. L'Assemblea Costituente diede allora il compito a 75 deputati di redigere la nuova Costituzione.
Ora gli organi costituzionali sono:
-Il Parlamento
-Il Presidente della Repubblica
-Il Governo
-La Magistratura
-La Corte Costituzionale
La Costituzione, ancora in vigore, è:
Compromessa: frutto di un compromesso tra i partiti del comitato Nazionale di Liberazione e quindi garantisce un certo equilibrio
Votata: viene letta e approvata da un'Assemblea votata a sua volta dal popolo
Rigida: può essere modificata solo con una procedura specifica
Laica:tutte le religioni possono essere professate all'interno dello Stato
Sociale: lo Stato interviene direttamente per garantire l'uguaglianza fra i cittadini
Liberale: i principi di libertà sono riconosciuti e garantiti
Lunga: si occupa dei diritti dei cittadini e non solo degli organi del potere
Quest'ultimo punto, insieme al voto concesso a tutti i maggiorenni, la nostra Costituzione lo ha ereditato dalla Costituzione della Repubblica Romana, redatta dal triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi.
La pena di morte nel mondo
La pena di
morte, o pena capitale, consiste nell'uccisione di un individuo ordinata da
un'autorità, in seguito alla condanna di un tribunale. Questa pratica era
diffusa già nell'antichità, dove era presente in tutti gli ordinamenti. In
epoca moderna il primo stato ad abolire la pena di morte fu il Granducato di
Toscana nel 1786, seguono la Repubblica Romana nel 1849, il Venezuela nel 1863
e il Regno d'Italia nel 1889 con il codice penale Zanardelli, finchè non venne
nuovamente introdotta nel 1935 durante il periodo fascista (solo per gravi
reati comuni, attentati contro il Duce o contro il Re) e definitivamente
abolita dalla Costituzione repubblicana nel 1948.
Amnesty
International (organizzazione internazionale non governativa impegnata nella
difesa dei diritti umani fondata nel 1961) distingue quattro categorie di
stati:
- 68 stati in cui la pena di morte è ancora prevista dal codice penale (colore rosso)
- 30 stati in cui la pena di morte è prevista anche per reati comuni ma non viene eseguita da almeno 10 anni (colore verde)
- 10 stati in cui la pena di morte è prevista solo per reati commessi in situazioni eccezionali, ad esempio crimini di guerra (colore giallo)
- 89 stati in cui la pena di morte è stata abolita completamente (colore blu)
Di seguito
l'elenco degli Stati, in ordine alfabetico, suddivisi per continente, che
praticano tutt'oggi la pena di morte, con relativa data dell'ultima esecuzione:
AFRICA [12
stati su 56]
Botswana 31
gennaio 2012
Ciad 9 novembre 2003
Egitto 10 ottobre 2011
Guinea Equatoriale 21 agosto 2010
Etiopia 6
agosto 2007
Libia 30
maggio 2010
Nigeria 2006
Somalia 23 gennaio 2012
Sudan 13 maggio 2011
Sudan del Sud 31
agosto 2012
Uganda 2006
Zimbabwe giugno
2003
AMERICA DEL NORD [5 stati su 25]
Dominica 8
agosto 1986
Giamaica 2003
Trinidad e Tobago 28
luglio 1999
Stati Uniti 27
giugno 2012
(su 50 stati, 16 non prevedono la pena di morte)
AMERICA DEL SUD [1 stato su 12]
Guyana
ASIA [28 stati su 49]
Afghanistan 20 aprile 2004
Bahrein 2006
Bangladesh 2005
Cina 23
giugno 2010
Taiwan 2005
India 9
febbraio 2013
Indonesia 2006
Iran 20
giugno 2012
Iraq 20
marzo 2007
Giappone 21
febbraio 2013
Giordania 2005
Kazakistan 2003
Corea del Nord 25
giugno 2012
Kuwait 2005
Libano 2004
Malesia 2001
Oman 2001
Pakistan 21 novembre 2012
Palestina 18 maggio
2010
Qatar 2001
Arabia Saudita 26
giugno 2012
Singapore 2007
Siria 2004
Tagikistan 2004
Thailandia 12
dicembre 2003
Emirati Arabi Uniti 2002
Vietnam 2005
Yemen 5
luglio 2010
EUROPA [1 stato su 50]
Bielorussia 6
marzo 2011
OCEANIA [0 stati su 16]
martedì 17 settembre 2013
LA SINISTRA STORICA AL GOVERNO E IL TRASFORMISMO
« Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo? »
(Agostino Depretis, discorso tenuto a Stradella, 8 ottobre 1882).
Il termine trasformismo designa, storicamente, un fenomeno caratteristico delle vicende politico-parlamentari italiane relative in particolare agli anni Ottanta del sec. XIX. Esso deriva dall’esigenza manifestata dagli ambienti politici liberali di mettere fine alle tradizionali divisioni tra Destra e Sinistra storica per approdare a un unico, solido schieramento parlamentare di maggioranza, in opposizione agli estremismi dei cattolici intransigenti, dei repubblicani e della Sinistra radicale.
Tale progetto politico si realizzò il 18 Marzo 1876, nel corso della discussione in Parlamento sulla tassa sul macinato e sulla nazionalizzazione delle ferrovie, che si concluse con la caduta del governo della Destra Storica guidata da Marco Minghetti. La giornata, passata alla storia con il nome di “Rivoluzione Parlamentare”, segnò la nascita di una nuova maggioranza in cui confluivano deputati della Sinistra e deputati della Destra, collegati con il mondo dell’industria settentrionale. Aveva inizio l’età Depretis, il quale mantenne per i successivi undici anni, la carica di Presidente del Consiglio. Alcuni storici definiscono il suo regime “la dittatura più assoluta che sia possibile in uno Stato a regime parlamentare”. Egli non assunse mai atteggiamenti autoritari ma esercitò il potere con una tecnica che lasciava poco spazio all’opposizione. Depretis illustrò la sua politica con queste parole: “Mentre si era soliti dire che il governo rappresentava un partito, noi intendiamo invece governare nell’interesse di tutti, ed accetteremo l’appoggio di tutti gli uomini onesti e leali, a qualsiasi gruppo appartengano”. In parole povere ciò significa che non dovevano più esserci divisioni, che i vecchi gruppi potevano sciogliersi per dare avvio a nuove coalizioni e maggioranze, e che insomma ogni nemico poteva trasformarsi in amico (ma anche viceversa). Con questo appello all’abbraccio ecumenico in nome di un ideale che nessuno poteva decentemente rifiutare a priori, Depretis intendeva ripristinare quella paterna “dittatura parlamentare”, basata sull’autorità sul prestigio di alcuni grandi “notabili” coi loro seguiti e clientele, e sulle loro “combinazioni”. Depretis formò il suo primo governo con uomini esclusivamente di Sinistra. Ma siccome questa non aveva la maggioranza, se la comprò dando soddisfazione sul problema delle ferrovie a quei gruppi della Consorteria che, rompendo il fronte della Destra, gli avevano dato la vittoria su Minghetti. Il problema delle ferrovie era quello del loro esercizio. Si doveva finalmente decidere se esso doveva essere assunto dallo Stato o affidato a società private con cui erano già state avviate trattative. Centro e Consorti erano per la seconda alternativa, mentre la Sinistra storica era per la prima. Fra gli uni e l’altra, Depretis raggiunse un compromesso. Egli fece inghiottire alla Sinistra la tesi privatistica. Tale provvedimento tuttavia spaccò al suo interno il raggruppamento di Sinistra. La conseguenza obbligata furono le elezioni, indette per il 5 novembre 1876, che confermarono Depretis come leader della maggioranza. Alla formazione del nuovo governo contribuì l'ingresso di organi e clientele di potere nello schieramento di Sinistra, come ad esempio le grandi industrie e lo stesso re Vittorio Emanuele II, che si augurava di poter ampliare la spesa pubblica per l'esercito. Depretis aprì un lungo ciclo che durò fino al luglio 1887, interrotto solo due brevi governi di Benedetto Cairoli.
domenica 15 settembre 2013
Suffragio Femminile
1893 Nuova Zelanda
1901 Australia
1906 Finlandia
1913 Norvegia
1913 Islanda
1915 Danimarca
1915 URSS
1917 Canada
1918 Gran Breatagna
1918 Austria
1919 Germania
1919 Paesi Bassi
1920 USA
1921 Svezia
1931 Portogallo
1931 Spagna
1945 Giappone
1946 Italia
1946 Francia
1948 Belgio
1952 Grecia
1971 Svizzera
Terza guerra d'indipendenza
L'ultimo conflitto combattuto per l'unificazione italiana
scaturì da una svolta nella politica internazionale. Il Regno d'Italia, da poco
formatosi, si alleò con la Prussia allo scopo di trarre vantaggio dalla
competizione austro-prussiana per la supremazia in Germania, dove parimenti era
in atto un processo di unificazione nazionale. Fu il cancelliere prussiano
Bismarck a offrire al governo italiano un'alleanza militare, tale che tenesse impegnata
sul versante sud una parte dell'esercito austriaco e lasciasse sguarnito il
fronte tedesco. Prussia e Regno di Sardegna sottoscrissero quindi un patto
segreto (8 aprile 1866), con il quale l'Italia si impegnava a entrare in guerra
contro l'Austria non appena la Prussia avesse aperto le ostilità: il vantaggio
sarebbe consistito nell'acquisizione del Veneto e di altri territori di
nazionalità italiana sotto dominio austriaco.
La guerra iniziò il 20 giugno. Il re Vittorio Emanuele II
assunse il comando dell'esercito, mentre a capo dello stato maggiore fu posto
il generale La Marmora, appena dimessosi dalla carica di presidente del
Consiglio. Le operazioni militari furono condotte senza coordinamento tra i due
tronconi dell'esercito che operavano l'uno sul Mincio, al comando di La
Marmora, l'altro sul basso Po, agli ordini del generale Cialdini. Nonostante
l'inferiorità numerica (70.000 uomini contro 200.000) l'esercito austriaco
riuscì a sorprendere alcune divisioni italiane nei pressi di Custoza,
ingaggiando uno scontro imprevisto che, seppure di modeste proporzioni, allarmò
a tal punto La Marmora da convincerlo a ordinare una ritirata generale, oltre
le linee del Mincio e dell'Oglio. Discordanze di strategia tra i comandi e
rivalità tra La Marmora e Cialdini sulla conduzione delle operazioni impedirono
di organizzare una controffensiva nel momento in cui gli austriaci ritiravano
numerose divisioni per spostarle sul fronte prussiano e una colonna guidata da
Garibaldi, dopo la vittoriosa battaglia di Bezzecca (21 giugno), marciava su
Trento. Il 20 luglio nei pressi dell'isola dalmata di Lissa la flotta italiana,
al comando dell'ammiraglio Persano, subì una clamorosa sconfitta da parte degli
austriaci, comandati dall'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff, che si concluse
con l'affondamento della cannoniera Palestro (231 caduti) e della nave
ammiraglia Re d'Italia (318 morti). All'esito negativo della guerra fu posto rimedio grazie alla
vittoria dei prussiani, che sbaragliarono gli austriaci nella battaglia di
Sadowa (vedi Guerra austro-prussiana), a cui seguì la pace di Praga (23
agosto). L'armistizio tra Austria e Italia, sottoscritto a Cormons (12 agosto),
fu seguito dalla pace di Vienna (3 ottobre) che prevedeva la clausola, già
sancita a Praga, della cessione all'Italia del Veneto previa consegna a
Napoleone III: l'imperatore francese in tal modo ripristinava il suo ruolo di
garante del regno italiano. A guerra conclusa si accesero violente polemiche
sulle responsabilità delle sconfitte di Custoza e di Lissa. L'ammiraglio
Persano fu portato davanti all'Alta corte di giustizia del Senato, che lo
ritenne colpevole di inettitudine, ma lo prosciolse dall'accusa di codardia.
L'unificazione italiana sarebbe giunta a compimento tra il 1870, con la presa
di Roma (vedi Breccia di Porta Pia), e la prima guerra mondiale, con
l'acquisizione dei territori di Trento, Bolzano, Trieste e dell'Istria.
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